“Open-washing” – La differenza fra aprire i dati e semplicemente rendenderli disponibili

(Questa è la versione italiano del post di blog inglese “Open-washing” – The difference between opening your data and simply making them available tradotto da Christian Villum dall’articolo originario in danese “Openwashing” – Forskellen mellem åbne data og tilgængelige data)
La settimana scorsa, la rivista danese Computerworld, in un articolo intitolato Check-list per l’innovazione digitale: Queste sono le cose che dovete sapere, ha sottolineato come sempre più aziende stanno scoprendo che dare agli utenti l’accesso ai dati è una buona strategia di business. Fra le osservazioni pubblicate

(traduzione dal danese) Secondo quanto dice Accenture per molte aziende innovative sta diventando sempre più chiaro che i propri dati debbano essere trattati come un’altra catena di distribuzione: dovrebbero essere fruibili facilmente e senza ostacoli attraverso l’intera organizzazione e forse anche fuori dal ecosistema interno – ad esempio attraverso API completamente aperte.

Hanno quindi utilizzato Google Maps come esempio. Innanzitutto questo non è un esempio perfettamente calzante: come ha anche sottolineato il blogger Neogeografen, Google Maps non offre dati grezzi, ma solo una rappresentazione dei dati originari. Non si è poi autorizzati a scaricare e modificare i dati a farne uso su un proprio server.

Inoltre non ritengo del tutto accurato evidenziare Google e il suo Maps come un esempio ottimale di scenario imprenditoriale che offre un flusso di dati senza ostacoli al pubblico. È vero che il servizio offre solo alcuni dati, ma solo con una modalità particolarmente limitata – e per niente open data – È corretto affermare che offrono alcuni dati, ma con una via particolarmente limitata – e con una modalità per niente open data – e quindi non in maniera progressiva come suggerisce l’articolo.

Non vi è però alcuna ombra di dubbio che sia difficile accusare Google di non essere una azienda innovativa. L’articolo afferma come i dati di Google Maps sono utilizzati da oltre 800.000 applicazioni e aziende in tutto il mondo. Pertanto è vero, Google ha aperto parte del suo silo – ma solo in un modo molto controllato e limitato, che lascia queste 800.000 aziende dipendenti dal flusso continuo di dati da parte di Google senza permettere loro di controllare le stesse materie prime su cui stanno basando il loro stesso lavoro. Questa particolare modalità di rilascio dei dati mi porta sul problema che stiamo affrontando: Capire la differenza fra il rendere i dati disponibili e renderli aperti.

Gli open data si caratterizzano non solo perché sono disponibili, ma perché sono sia aperti sul piano giuridico (cioè rilasciati sotto una licenza aperta che ne permetta il pieno riuso con al massimo l’obbligo di dare credito alla fonte e rilasciarli con la stessa licenza) che tecnicamente disponibili in massa attraverso formati machine readable – contrariamente a quanto offre Google Maps. Può essere che i loro dati siano disponibili, ma non sono aperti. Questa, tra l’altro, è una delle ragioni per cui la comunità globale che ruota attorno OpenStreetMap – l alternativa 100% open, – è in rapida crescita ed un numero sempre più crescente di aziende ha deciso di impostare invece i propri servizi su questa iniziativa aperta.

Ma perché è importante che i dati siano aperti e non solo disponibili? Open data rafforza la società e costruisce una risorsa condivisa, con la quale tutti gli utenti, i cittadini e le imprese sono arricchiti e potenziati, non solo i collezionisti e gestori di dati. A questo punto ci si chiede “Ma perché le aziende dovrebbero spendere soldi per raccogliere dati e poi darli via?”. Aprire i dati e realizzare un profitto non sono due azioni che si escludono a vicenda. Facendo una rapida ricerca su Google si scopre che ci sono molte aziende che offrono dati aperti creando opportunità di business – e credo che siano queste quelle che dovrebbero essere evidenziate come di particolare interesse sugli articoli di innovazione come quello di Computerworld

Un esempio è l’azienda inglese OpenCorporates , che offre il suo crescente repository di dati del registro delle imprese come dati aperti, e quindi si posiziona abilmente come una risorsa da seguire in quel campo. Questo approccio rafforza la possibilità di offrire servizi di consulenza, analisi dei dati e altri servizi personalizzati per imprese e il settore pubblico. Altre imprese sono invitati a utilizzare i dati, anche per uso agonistico o per creare altri servizi, ma solo sotto la stessa licenza di dati – e fornendo così una risorsa derivata utile per OpenCorporates. Qui c’è la vera innovazione e sostenibilità, rimuovendo in modo efficace i silos e la creazione di valore per la società, non solo per le imprese coinvolte. Open data crea crescita e innovazione nella nostra società – mentre il modo di Google di offrire i dati crea probabilmente crescita ma solo per … Google.

Stiamo assistendo a una tendenza sempre crescente di ciò che può essere definito “open-washing” (ispirato a “greenwashing“), che significa che ci sono produttori di dati che sostengono che i loro dati sono aperti, anche quando non lo sono, e quindi li rendono disponibili attraverso termini di riuso limitanti. Se noi, in questo momento critico della società guidata dai dati, non siamo criticamente consapevoli della differenza, finiremo per mettere i nostri flussi di dati vitali in infrastrutture di silos di proprietà di società internazionali. Ma finiremo anche per elogiare e sostenere il modo sbagliato di realizzare uno sviluppo tecnologico sostenibile.

Per saperne di più visita la pagina della open definition e questa introduzione al tema dei dati aperti da parte della Open Knowledge Foundation. Per esprimere la tua opinione unisciti alla mailing list di Open Knowledge Foundation.