[pubblicato anche su #beniculturaliaperti] 16 gennaio 2014, io e Napo siamo andati al MiBACT per discutere gli emendamenti portando in “dote” oltre 540 sottoscrizioni e una decina di associazioni (grazie ancora!).
Premetto il ringraziamento alla Sottosegretario Borletti Buitoni che si è fatta promotrice dell’incontro, Stefano Quintarelli che fa da … Quintarelli (la sua funzione è talmente ampia che rende difficile inquadrarla) e la Direttrice dell’ICCD Laura Moro: quello che poteva essere un incontro formale si è rivelato un confronto schietto e diretto di circa un’ora e mezza, nel quale si sono condivisi gli obiettivi e le criticità in un clima di disponibilità.
Provo a riassumere
Provo a riassumere quanto evidenziato da Moro perché è nodale rispetto a quanto concordato. In sostanza è da distinguere le riproduzioni “che verranno” da quelle conservate, mentre gli elementi descrittivi sono da considerarsi “dati” a tutti gli effetti e quindi soggetti alla normativa del Codice dell’Amministrazione Digitale. Per quanto riguarda gli archivi bisogna analizzare singolarmente le tipologie di riproduzioni, anche perché ci ha spiegato che il Codice già ora consente la condivisione di determinati elementi. La sensazione avuta è che l’interpretazione della normativa in senso restrittivo sia un pregiudizio, ma è anche vero che esiste una quantità enorme di regolamenti e specificità di trattamento per le varie tipologie di riproduzione, nelle quali gli intrecci normativi risultano estremamente intricati.
Visti i riflessi del Codice
Visti i riflessi del Codice su regolamenti e decreti successivi, abbiamo concordato che la strada da percorrere sia così indicata:
- inserire all’interno del Codice dei BBCC un’esplicita relazione con il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD)
- evitare modifiche del Codice dei BBCC che obbligherebbero ad un aggiornamento continuo, quindi inserire la ratio e poi darne attuazione attraverso strumenti come Decreti Ministeriali
Gli strumenti nello specifico si articolano su due ambiti:
- foto d’archivio
- foto nuove
Abbiamo semplificato parlando di foto
Abbiamo semplificato parlando di foto, ma è da intendersi in senso più ampio come riproduzioni, e Moro ci ha accennato ad alcuni casi e devo ammettere che la gestione della complessità affrontata dagli specialisti dei BBCC non viene percepita (ed è un peccato). In termini molto semplici abbiamo concordato che è impossibile definire delle modifiche che ammettano una condivisione comprendendo anche le specificità, senza correre il rischio da apparire incomprensibili (o complesse). Per questo si pensa ad un’apertura progressiva, introducendo il concetto di gradualità mutuandolo dalle stesse Creative Commons. Questo significa inserire una disponibilità, modificabile nel tempo, al riuso che sia chiara nel momento della pubblicazione del dato.
Quindi: se la parte descrittiva di un Bene Culturale sarà rilasciata come previsto dal CAD (e le modifiche che ci potranno essere) – o come previsto da eventuali accordi per la condivisione con organizzazioni come Europeana – le riproduzioni saranno condivise con i vari gradi di riuso come previsto dalle stesse licenze di creative commons. Il concetto proposto da Moro e Borletti Buitoni è assolutamente interessante:
il riuso di una riproduzione può essere fatta senza nessun problema; se quella riproduzione è soggetta a determinati vincoli o compensi, l’Ente che gestisce quel Bene provvede a riscuotere eventuali royalty o richiedere modifiche rispetto all’uso.
Il concetto quindi è superare il regime autorizzatorio, se non in fase di richieste di eventuali chiarimenti, e di entrare in un concetto di tipologie di riuso. Questo ovviamente per le riproduzioni di archivio. Ci ha fatto molto piacere riscontrare la volontà di attivare strumenti di riconoscimento immagine contestualmente alla pubblicazione delle riproduzioni e questo ci convince molto riguardo alla strada che si sta intraprendendo.
Sulla libertà di panorama si è applicato lo stesso concetto
Sulla libertà di panorama si è applicato lo stesso concetto delle foto d’archivio. Ovvero: viene redatto un elenco – ovviamente modificabile nel tempo – dei Beni sottoposti a vincolo di riproduzione con la costruzione di linee guida in cui verranno individuate categorie ed eventuali costi in base alle tipologie di riuso. Questo rappresenta un passo in avanti notevole soprattutto perché sia la Sottosegretario che la Direttrice hanno strettamente collegato gli introiti derivanti dalle tariffe di riuso alla pubblicazione delle voci di spesa legate a progetti di digitalizzazione o conservazione dei Beni stessi. Quindi, in ottica Wikipedia, la libertà di panorama sarebbe espressa by default attraverso un elenco di Beni esclusi perché le riproduzioni sono soggette a sfruttamento esclusivo dei Gestori o titolari del Bene, lasciando comunque discrezionalità; quindi, per esempio si passerebbe da “i Beni fotografabili sono […]” a “tutti i Beni sono fotografabili, tranne […]”. Il punto infatti è quello di aumentare la valorizzazione senza sottrarre la minima capacità di raccolta economica, anche per avviare un reale monitoraggio dei flussi di cassa generati dai diritti di riproduzione.
Quindi aldilà di quelli che sono gli emendamenti
Quindi aldilà di quelli che sono gli emendamenti, l’operazione #beniculturaliaperti ha permesso di avvicinare i contesti di chi vorrebbe disporre dei dati e chi ne gestisce la conservazione e catalogazione. Al momento pare più opportuno e ragionevole avanzare per passi che tendano ad una progressiva equiparazione in attesa anche del recepimento della Direttiva PSI 37/2013 che interessa proprio l’ambito GLAM. Certamente questa fase è un compromesso rispetto alle istanze di realtà come le nostre di OKFn e di Wikimedia Italia, ma già ottenere un elenco con censimento dei Beni Culturali soggetti ad esclusiva con agganciata la redditività derivata è un buon punto di partenza.
Ora si corre e si sta lavorando all’inserimento delle modifiche indicate sopra, in modo da proporle all’ufficio legale del MiBACT in tempo per la discussione alla Camera dei Deputati (e relative commissioni) delle modifiche avanzate dalla Commissione Settis. Quindi… siamo in corsa
immagine: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Piero_della_Francesca_-_Ideal_City.jpg
sarebbe anche bello se qualsiasi foto con metadati geografici corrispondenti all’opera pubblica fosse automaticamente “legale” per riuso e riutilizzo, un po’ come dire “ci sei stato effettivamente, l’hai pubblicata su internet ed ora è di tutti” 🙂
Il “riuso salvo lamentela” sembra piú diritto di citazione che una licenza libera. Meglio di niente, comunque, e c’è già una legge: basterebbe emanare il decreto attuativo dell’art. 70.1bis LdA http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm#70 e stabilire che tutto rientra in quei criteri (“degradato”, “didattico o scientifico” e non lucrativo) a meno che un ente si lamenti (di una riproduzione troppo buona che entra in competizione coi suoi interessi economici). Serve solo un parere qualsiasi delle commissioni parlamentari, tempo un mese se vogliono lo fanno.
Mi piace particolarmente l’«avviare un reale monitoraggio dei flussi di cassa generati dai diritti di riproduzione»! Ottimo, era ora.
Grazie Luca per questo resoconto. Devo essere sincero: l’ho riletto diverse volte e mi sarebbe piaciuto trovare una sintesi più chiara di quello che è emerso dall’incontro, spero che sia solo un problema di scrittura e che come dici il risultato sia stato effettivamente convincente. Quando scrivi di “quantità enorme di regolamenti” e “intrecci normativi estremamente complicati” a cosa ti riferisci in particolare? Avevo scritto prima dell’incontro che non aveva molto senso discutere dove mettere una eventuale asticella per royalties senza sapere quali (riproduzioni di) beni generano effettivamente introiti – mi sembra che la situazione su questo versante non sia buona. Inoltre, ricordo che nonostante la norma di legge sia sempre stata molto generica, il “diavolo” era nei dettagli, ovvero nei decreti ministeriali. Qui si entra nella filosofia del diritto, ma io credo che sia meglio una legge chiara e univoca, con poche eccezioni circoscritte, invece che decreti ministeriali che sono poco sotto i riflettori, soggetti a scarso controllo preventivo da parte del pubblico (non per cattiveria, ma perché sono uno strumento fatto così) e passibili di cambiamenti in base al governo in carica. Scusa la franchezza, io continuo anche a pensare che chi vuole fare riproduzioni per fini di lucro avrà bisogno di richieste particolari (es. far volare un drone su un monumento)…
Nel frattempo, comunque, i musei che non chiudono pubblicano giorno e notte foto e video su Facebook, Youtube, Twitter, Pinterest, disapplicando di fatto tutti gli intrecci normativi di cui sopra.
@Nemo la LdA è un vicolo cieco. Il diritto dei beni culturali è una diversa fattispecie e, credo, le limitazioni che introduce non si possono valutare in base alla LdA. In ambito internazionale il diritto dei beni culturali è stato definito come un “quasi-property right” http://www.communia-project.eu/wg03-istanbul (altro motivo per cui anche il riferimento a Creative Commons mi convince molto poco, peraltro in un momento in cui CC stessa sta riconsiderando molto profondamente tutte le licenze non-open).
Stefano, so bene che le due cose sono distinte, è solo grazie a quello che Wikimedia Italia è riuscita a organizzare WikiLovesMonuments anche in Italia. Per riuscirci, però, dobbiamo chiedere agli enti consegnatari di accettare che terzi rilascino le proprie opere con una licenza libera, irrevocabilmente. Una licenza libera revocabile (per giunta da persona altri che il licenziatario) non è una licenza libera. https://commons.wikimedia.org/wiki/Commons:Wiki_Loves_Monuments_2012_in_Italy/MiBAC
La LdA non è un vicolo cieco in sé: rivederla è un vaso di Pandora, ma il diritto di citazione aspetta solo un decretino applicativo e ha tutte le carte per prevalere su ogni altro diritto contrastante con esso. Del resto la conclusione qua sopra è che salveremo i beni culturali collegandoli alla legislazione sui dati aperti/sull’amministrazione digitale, che è un’altra cosa ancora. Anche solo far interagire bene fra di loro le legislazioni esistenti in modo che il cittadino/utente abbia una sommatoria di libertà invece che l’attuale intersezione (vuota) fra tutte le libertà previste dalle diverse legislazioni sarebbe già un risultato enorme.