I dati e i beni
I dati dei beni culturali non sono i beni culturali.
I dati dei beni culturali sono beni pubblici quando sono prodotti con fondi pubblici (ovviamente) e, le opere a cui si riferiscono sono patrimonio dell’umanità nel momento in cui sono inseriti nel catalogo dell’Unesco.
In genere i beni comuni sono fiumi, laghi, aria, acqua che acquisiscono un prezzo per i servizi collegati ad essi ma in sé hanno un valore talmente primario da renderli inestimabili. Essi sono soggetti alla perpetua ricerca del ottimo sociale (o paretiano), e mentre un bene culturale potrebbe esserne soggetto, i suoi dati no. Nel contempo però si trasferisce il valore del bene ai suoi dati al fine di rendere l’opera contemporaneamente pubblica ma “recinta”. Vedremo come questo recinto sia assolutamente antieconomico e pericoloso per la conservazione dei beni culturali stessi.
Partiamo dalla sottilissima duplicità dei beni culturali: diventano beni comuni nel momento in cui trascendono la testimonianza di una soggettività e si propagano nella suggestione di ogni cultura: il Giudizio Universale di Michelangelo trascende la dottrina cattolica controriformista e si rivolge direttamente al rapporto tra l’Uomo e il Divino; Venezia trascende dall’essere Città amministrativa e diventa un paradosso cosciente con la Natura e le Leggi di Governo. Quindi:
- i dati dei beni culturali sono dei beni pubblici se prodotti con finanziamento pubblico
- i dati dei beni culturali potrebbero essere dei beni comuni della conoscenza
- i beni culturali rappresentano la matrice reale, i loro dati ne sono la trasmissione cognitiva
I dati, i beni e la produttività
In sostanza si tratta di condivisione dei dati dei beni culturali e il diritto legato ad essi: può un’opera trasferire la sua produttività da sé stessa ai dati che la descrivono? Se la Morte della Vergine di Caravaggio è un’opera inestimabile, come ne calcolo l’assicurazione? Come calcolo il valore della Gioconda? Come calcolo il valore dell’area archeologica di Pompei? Questi tre casi:
- la Morte della Vergine ha valore per il suo autore assieme al valore evidentemente artistico, ma fino ai primi del ‘900 Caravaggio e la sua opera venivano considerati “minori” fino alla riscoperta del Longhi
- la Gioconda acquisisce il suo valore immenso dalla sua riproducibilità e dall’enorme quantità di sovrastrutture culturali e sociali che si sono stratificate su di essa
- Pompei acquisisce valore per la presenza di un’epoca lontana cristallizzata nel tempo: una testimonianza talmente drammatica e unica che la rende “impossibile” da replicare
In questi tre tipi di valore, comunque, il denominatore comune è il volume di trasmissione comunicativa delle opere: quando pensiamo ad essi non pensiamo alle opere stesse ma alle loro riproduzioni, ai libri che hanno generato, alle parole di chi le ha viste. Pensiamo ai loro dati! Significa che senza la quantità di dati che si riferiscono a queste opere, il loro stesso valore diminuirebbe sia in termini conoscitivi che monetari.
Per questo è fondamentale che la trasmissione cognitiva rimanga sempre accessibile, alimentabile e riproducibile: senza i dati la matrice reale è costretta alla sua esistenza con i limiti di conservazione, tutela e unicità.
Tutto questo possiamo racchiuderlo in una formula: openGLAM, Galleries Libraries Archive Museum nei loro dati aperti e riproducibili liberamente! Tutto questo per: studio/lavoro – gioco – diletto – commercio.
OpenGLAM per studio
Consideriamo di un quadro la sua riproduzione ad alta definizione e i metadati della sua scheda descrittiva; dati che popolano un database esportabile e aperto che consenta l’integrazione con altre opere: quanti studenti avrebbero la possibilità di concentrarsi sullo studio delle opere senza assoggettarsi agli orari e ai moduli di accesso? Quanto più facile sarebbe per i titolari di opere rendere disponibili online le schede e le riproduzioni delle opere che conservano, per aumentare il flusso di studi e di ricerche – e da queste richiedere maggiori fondi per la conservazione? Eppure lo stesso concetto di diritto d’immagine e di proprietà dell’opera viene esteso anche ai dati scientifici dell’opera stessa, bloccandone quindi la sua trasmissione cognitiva! Ad esempio i Bronzi di Riace: le matrici reali rimangono adagiate su dei catafalchi nella sede del Consiglio Regionale della Calabria, ed in questo modo si blocca ogni avanzamento di ricerca o di connessione con altri studi. Rimane quindi la domanda: come faccio a studiarle nell’indisponibilità dell’accesso diretto? Tralascio volutamente i termini di conservazione delle opere, ma l’accesso libero ai dati è l’assicurazione di uno Stato contro la cattiva gestione delle opere da parte degli Enti Locali.
OpenGLAM per lavoro
Ricercatori, studenti, galleristi, insegnanti, archivisti, restauratori, archeologi, bibliotecari, pittori, artisti, registi, allestitori… se si provasse ad elencare le professioni legate ai beni culturali ne risulterebbe una lista molto lunga ed eterogenea. Chi per conservarle, chi per studiarle, chi per derivarle, chi per presentarle, i soggetti che hanno interesse ad avere un accesso immediato ai dati delle opere d’arte sono moltissimi. E maggiore è la velocità di ricerca maggiore è la produttività delle opere stesse (il caso dell’agosto 2013 del Getty Museum che rilascia 4600 immagini) : è lo stesso principio dei motori di ricerca! Più velocemente trovo il risultato cercato più sono incentivato a cercare. Se ho difficoltà a reperire le riproduzioni ad alta definizione delle opere di un museo, se non riesco ad avere la documentazione relativa, non sono recuperabili le schede di restauro perché dovrebbero i ricercatori – soprattutto stranieri – investire denaro e/o fondi di ricerca in viaggi presso i musei senza avere la minima idea di cosa cercare? Perché una fondazione dovrebbe vincere fondi internazionali se non riesce nemmeno a presentare il proprio patrimonio? Ancora: perché destinare o richiedere personale magari qualificato per svolgere mansioni di “sportello” per tutti coloro che richiedono riproduzioni delle opere? Il rilascio dei dati dei beni culturali consente a chi li gestisce di spostare il personale qualificato a mansioni di tutoraggio dei richiedenti e di affiancare, ad esempio, i redattori delle voci di wikipedia o di monitorare i livello di accessi e di ricerche relative alle opere che conservano.
OpenGLAM per il gioco
Quando ci si riferisce ai dati dei beni culturali si pensa immediatamente alle immagini, poi ai video e poi… basta! Invece tecniche di gamification (applicate addirittura ai trasporti pubblici) si possono creare degli itinerari sfruttando la loro geolocalizzazione; si possono collegare ad eventi sportivi per autogenerare dei percorsi; possono rimodulare l’offerta turistica di un territorio. Il gioco consiste nel lasciare che dai dati emergano le relazioni sfruttando proprio la messa online aperta e visualizzarne la consistenza attraverso ricerche di rilevanza scientifica. L’uso della gamification consiste nel trasmettere il vettore conoscitivo attraverso la competizione ludica: il gioco permette di ingaggiare delle “sfide” tra studiosi, appassionati per promuovere o ricatalogare opere presenti in un territorio, generando una specie di crowdsourcing tra ricercatori,visitatori, abitanti e gestori. Nel 2006 Google lanciò Image Labeler proprio per “coprire” le carenze descrittive delle immagini, col tempo questa pratica si è diffusa attraverso l’uso dei tag nei social e con l’avvento di Google+ tale necessità è venuta a mancare. In ambito dell’arte però tale esigenza è ancora molto forte e il progetto ARTigo va in questa direzione: 60 secondi di tempo per aggiungere tag ad un immagine e si accumulano punti in base ai tag individuati da altri. Ovviamente non ha valore scientifico (nel singolo inserimento, mentre nell’aggregazione di essi ce ne ha eccome!) ma crea quello che è alla base dei social e del marketing proprio perché è alla base dell’arte stessa: l’Ingaggio!! Del resto, il gioco, è il miglior modo per coinvolgere i bimbi proprio perché “i bimbi giocano senza sapere di giocare”.
OpenGLAM per diletto
La componente “contemplativa” nell’arte è l’elemento cardine per spostare lo sguardo dalla semplice visione all’analisi sia interna che esterna. Nell’epoca della user content generation (imperdibile la lezione di Lessig al TED) ridurre la disponibilità di opere con immagini chiare e ufficiali con le loro schede descrittive, significa alimentare l’introduzione di riproduzioni “inaffidabili” nei siti più consultati per la ricerca di informazioni come le piattaforme wiki*. Rendere disponibili riproduzioni di buona qualità con relative schede consente l’immissione di opere che altrimenti i gestori di quelle opere non avrebbero possibilità di compiere; inoltre la relazione con la comunità di “dilettanti” consentirebbe di accrescere il numero di sostenitori di quei musei fuori dai circuiti mainstream agevolando il desiderio di visitare le opere dal vero. In questo, l’elemento dilettantesco è la leva più potente di conoscenza proprio perché si rivolge a tutti coloro che si rivolgono all’arte per pura soddisfazione interiore o di trasmissione; per questo è fondamentale creare una connessione sempre più stretta tra i gestori delle opere e le voci relative alle opere su Wikidata e Europeana (per citare le più famose). In questo si verifica la quasi sovrapposizione tra l’elemento ludico e quello del diletto: campagne di “alimentazione” di voci di Wikipedia, i cosidetti editahon, o le campagne di Internet Culturale in Italia, senza la componente ludica e dei dilettanti resterebbero rinchiuse nei circuiti specialistici che da sempre sono alla ricerca spasmodica di finanziamenti. Oggi più che mai è importante muovere dai dati dei beni culturali per agevolarne il più possibile la circolazione e la presenza nelle piattaforme social e di conoscenza condivisa. Un esempio recente è il lancio del progetto RAME che punta alla digitalizzazione del Fondo Bessarione e delle Cinquecentine di Manuzio: nella segnalazione dall’account della Biblioteca Marciana (gestito bene) alla mia richiesta
Bravissimi (e di questi tempi: coraggiosi!) farete un monitor per seguire il progetto? Lo chiedo perché molte operazioni sono pressoché sconosciute e la digitalizzazione delle opere si crede essere un passaggio sullo scanner
loro rispondono:
Quando il progetto sarà ultimato è prevista una presentazione in cui verranno forniti maggiori dettagli dagli addetti ai lavori
“addetti ai lavori”!!! Ovviamente non è una colpa né di chi risponde dall’account e nemmeno dei responsabili del progetto, ma è evidente che in questo caso si perde l’occasione di attrarre anche semplici appassionati a seguire dei lavori molto delicati e complessi. Valorizzare ed esporre sia i dati che le stesse attività legate ad essi è un modo per far emergere le figure di tutti quei specialisti ed esperti che lavorano “nell’ombra” e abituarli ad avere l’attenzione di persone non esperte. Questo serve per sfruttare concetti come folksconomy e il collaborative filtering, che uniti ad elementi di validazione (come il VIAF dell’OCLC), possono non solo coadiuvare gli esperti, ma fornire degli spunti aggregativi non considerati.
OpenGLAM per commercio
Nel sistema economico che regge i beni culturali la principale fonte di guadagno viene ancora considerata la riproduzione dell’opera. Questo però, nell’epoca della riproducibilità massima dei contenuti, appare non solo obsoleta ma addirittura ingenua. Osservare gallerie con mesti avvisi che intimano il divieto di fotografare le opere, appaiono come il bimbo con Sant’Agostino: si cerca di svuotare il mare di riproduzioni non autorizzate con una paletta e secchiello! Altro sarebbe la gestione dei “maniaci della foto” moderandone la compulsività in cambio di pubblicazione delle foto sull’account ufficiale del gestore delle opere su piattaforme popolari (instagram, flickr, wikicommons…) citandone l’autore e indicendo periodicamente dei concorsi (ecco la gamification) mettendo in premio il catalogo delle migliori foto fatte dai visitatori… In questo modo si assolvono sia le necessità del responsabile del marketing che del responsabile editoriale che del responsabile biglietterie… Il punto è che la riproduzione del bene culturale, come lo ha analizzato Benjamin, ricade irrimediabilmente nell’ambito della cultura di massa e cercare di allontare le opere da essa è pura follia: ne escluderebbe la reddittività diffusa. La stessa Amazon ha compreso, e per questo sta devastando il mercato dei media e dei contenuti, che i guadagni si fanno sulla maggiore diffusione contraendo i margini di profitto; porre la vendita delle riproduzioni delle opere tra le voci di entrata rischia di trasformare la voce d’entrata in un contrattore di domanda. Il motivo è facilmente individuato proprio nella natura stessa delle riproduzioni documentali dei beni culturali: essendo dei trasmettitori cognitivi, impedendone il riuso ne impedisco anche l’acquisizione.
Un modello interessante è quello del Rijksstudio: condividere determinate immagini suggerendo tipi di riuso; affiancare ad essi una vetrina web per la vendita, non vincolata al riuso delle immagini (modello app store), ed applicare una percentuale minima sulle vendite da reinvestire in digitalizzazione, catalogazione e messa online di nuove immagini.
Conclusioni non definitive
La situazione in Italia non è rosea, soprattutto se associata al ritardo strutturale e gestionale dei luoghi dell’arte; ovviamente ci sono delle eccezioni, tra queste il Museo di Torino è all’avanguardia con il rilascio addirittura attraverso API che ne permette l’inserimento in qualsiasi applicazione esterna del catalogo. Altro progetto da tenere sotto controllo (modello OpenCoesione) è OpenPompei, che punta sulla trasparenza e sulle tecniche di civic hacking. Molte cose stanno nascendo e altre si stanno tentando (scusate se mi cito addosso…), ma l’obiettivo è sempre quello: se è vero che sharing is knowledge, è anche vero che sharing is commerce! Per questo OpenGLAM deve essere considerato il principio del trasferimento dell’infrastruttura produttiva dei beni culturali, dalle rendite di profitto all’indotto della disseminazione, considerando le Gallerie, le Biblioteche, gli Archivi e i Musei dei nodi relazionali e non degli aggregatori.
ad integrazione, proprio oggi OpenGLAM ha aggiornato i suoi principi
topic: Virtual Heritage & novel implementations
ad maiora Agata
Gran bell’articolo, grazie!
P.S. segnalo un typo: “folksconomy”
fonte? 😉 http://en.wikipedia.org/wiki/Folksonomy