Il 9 e 10 giugno a Napoli si è tenuto il 6° workshop ArcheoFOSS, avviato nel (lontano) 2006. ArcheoFOSS è un workshop su “Free software, open source e open format nei processi di ricerca archeologica”, composto principalmente da archeologi ma aperto a tutto il mondo dei beni culturali e al confronto con l’informatica libera nelle sue implicazioni tecniche, sociali e culturali. Sin dal suo avvio, la condivisione dei dati e le problematiche connesse sono state tra i temi più frequentemente dibattuti, collocandosi al punto di incontro tra diritto d’autore, dei beni culturali, diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione, accessibilità dei dati territoriali (solo per citare i quadri normativi più rilevanti).
L’incontro è stato una occasione importante per riflessioni collettive su alcuni temi di particolare rilievo, come:
- l’adozione di software libero nelle amministrazioni preposte alla tutela del patrimonio archeologico e culturale, e le conseguenze che questo potrebbe avere in termini di accessibilità dei dati archeologici;
- le problematiche derivanti dal quadro normativo nel coinvolgimento dei cittadini verso una maggiore fruizione del patrimonio culturale, in particolare i drastici limiti imposti alla riproduzione di beni culturali, anche digitale;
- le opportunità offerte (e a quale “prezzo”) dal web semantico, o dalla sua declinazione attualmente più in voga: i Linked Open Data.
È evidente che nessuno di questi argomenti ha caratteri specifici limitati al mondo dell’archeologia o dei beni culturali, ed è quindi certamente importante aprire questa discussione verso l’esterno, confrontandosi e facendo rete con altre iniziative di più ampio respiro.
Se l’adozione di software libero può essere vista come un fatto positivo nell’ambito della pubblica amministrazione, e in quella preposta alla tutela del patrimonio in particolare, essa non comporta necessariamente l’apertura delle banche dati e la rinuncia alla tipica “gelosia” dei loro fautori o custodi temporanei. Ci sono stati segnali incoraggianti da parte di alcuni funzionari in questo senso ‒ anche se rimane la sensazione che il motore centrale del Ministero possa fare la differenza in entrambe le direzioni.
La limitazione alla riproduzione è infatti in forte contrasto con il pubblico dominio, la cui importanza economica e culturale è stata evidenziata dal progetto COMMUNIA, da poco concluso, in particolare nel Working Group 3.
Il web semantico è ancora lungi dall’essere assorbito: prevalgono da un lato realtà “troppo avanzate” che comunicano con difficoltà i propri intenti e risultati, e dall’altro il timore verso l’apertura che il web semantico necessariamente deve comportare. Ho cercato di costruire un ponte tra questi due mondi apparentemente lontanissimi, con una presentazione sul tema molto semplice ‒ nella discussione che ne è scaturita è emerso un tiepido consenso verso la possibilità di avere URI per gli oggetti (reperti, scavi, etc), mentre più problematica è apparsa l’adozione di ontologie di sapore universale. I Linked Open Data possono avere un valore se sono utilizzati come strumento di pubblicazione e condivisione dei dati archeologici: se devono ridursi a un esercizio tecnico forse è più conveniente creare un dump del nostro database e metterlo online (magari con una documentazione).