Archivi dell’Istituto Luce, You Tube e il patrimonio culturale italiano

Da un po’ di giorni l’argomento mi rincorre. Amici che discutono sui filmati dell’Istituto Luce disponibili su youtube, di licenze e altro.

Poi leggo che una app che aveva fatto scalpore risulta essere illegale. Perché? Semplicemente perché permette di fare il download dei filmati di You Tube. Quindi anche i filmati dell’Istituto Luce non posso scaricarli legalmente.

La vicenda Archivio Istituto Luce è esemplare per quanto riguarda i rischi di ritrovare il patrimonio culturale depositato su piattaforme proprietarie se non chiuse. Tutto nasce anche dall’enorme intreccio che c’è attorno agli enti che in Italia hanno il “controllo” dei dati stessi.

Provo a ricostruire la vicenda.

L’Archivio Istituo Luce è di proprietà della Cinecittà Luce SPA che a sua volta è “proprietà” del Ministero dell’Economia e Finanze, come si legge nel footer del sito, essendone azionista unico. Senza entrare nel merito di altre questioni considerando il codice etico della Cinecittà Luce spa si legge al punto 4.5

Cinecittà Luce si impegna ad informare in modo chiaro e trasparente tutti gli stakeholder circa la propria situazione ed il proprio andamento, senza favorire alcun gruppo d’interesse o singolo individuo, mediante le funzioni all’uopo demandate.

Nel caso dell’affidamento a Google dell’Archivio Istituto Luce venne annunciato in una conferenza stampa; non sono riuscito a trovare video della conferenza, ma in tutti gli articoli non si trova traccia di gare, tipo di accordo o contratto, durata o altro. Si parla però di un sistema di contentID che “tutela” dalla pirateria i contenuti inseriti nella piattaforma video. In un altro articolo si scopre che già nel 2010 lo Stato Italiano ha stretto un accordo con Google per

la digitalizzazione di un milione di libri, non coperti da copyright, conservati nelle biblioteche di Roma e Firenze

al momento ho trovato questo perché, pare, le opere siano in via di digitalizzazione. La domanda, però è: nel momento in cui il libro è di pubblico dominio, la sua riproduzione digitale rimane in pubblico dominio? Cercando sui Termini di Servizio si legge

The Google Books Digital Content Store. The Google Books Digital Content store and our distribution partners enable you, subject to the restrictions set forth herein, to view, download, display and use on your devices, including but not limited to mobile devices, e-readers, and personal computers (each a “Device”) a variety of digitized electronic content, such as books, journals and other periodicals, and other digital content, as determined by Google (“Digital Content”). Google may change the entities from which you download Digital Content and through which your Google Books Digital Content transactions will be processed from time to time without notice.

anche se poi si trova al punto 2

Select, copy and paste functions may be available for some Digital Content, and you must use these features within the prescribed limits and only for personal non-commercial purposes.

ma soprattutto non viene mai esplicitata una licenza riconoscibile tipo creative commons.

Quindi, di tutti i video dell’Archivio Istituto Luce, cosa possiamo fare? Guardarli… e basta.

Però! Il decreto n. 179 del 4 ottobre 2012 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 ottobre, noto come il “Decreto Crescita 2.0”, nella sezione II art. 9 comma 2 dice così:

I dati e i documenti che le amministrazioni titolari pubblicano, con qualsiasi modalità, senza l’espressa adozione di una licenza di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h) , del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, si intendono rilasciati come dati di tipo aperto ai sensi all’articolo 68, comma 3, del presente Codice. L’eventuale adozione di una licenza di cui al citato articolo 2, comma 1, lettera h) , è motivata ai sensi delle linee guida nazionali di cui al comma 7

questo potrebbe significare che aldilà degli accordi, Cinecittà Luce spa, titolare degli archivi si possa considerare una “amministrazione pubblica” in quanto proprietà dello stesso Ministero dellìEconomia e Finanze. Questo significa che dovrebbe quanto meno motivare la regioni per cui non rilascia con licenza open i propri dati.

Dal punto di vista poi strumentale – nel senso di chi poi potrebbe ottimizzare o inserire tecnicamente i dati nei vari repository o database – si aggiunge pure la società Arcus pure essa di “proprietà ” del Ministero dell’Economia e Finanze, opera sotto indicazione di programmi annuali redatti dal MiBAC di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Cosa fa Arcus? fornisce assistenza tecnica per (tra le varie attività):

predisporre progetti per il restauro, il recupero e la migliore fruizione dei beni culturali; tutelare il paesaggio e i beni culturali attraverso azioni e interventi volti anche a mitigare l’impatto delle infrastrutture esistenti o in via di realizzazione; sostenere la programmazione, il monitoraggio e la valutazione degli interventi nel settore dei beni culturali; promuovere interventi progettuali nel settore dei beni e delle attività culturali e nel settore dello spettacolo; individuare e sostenere progetti di valorizzazione e protezione dei beni culturali attraverso interventi a forte contenuto tecnologico;

quindi, in teoria, lo strumento per attuare eventuali progetti di supervisione alla digitalizzazione ci sarebbe. Aggiungendosi al supporto della piattaforma dati.gov.it.

Volendo controllare, anche il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio nella sua versione del 2008 (vigente) troviamo nell’art. 6 comma 3:

La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale.

Al titolo I capo I art. 10 comma 2 troviamo che:

Sono inoltre beni culturali: a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;

all’art. 11 comma 1 punto f:

le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in  movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni, a termine dell’articolo 65, comma 3, lettera c) (4);

Al capo III art. 20:

I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione.

e la “speranza” ci viene data dall’art. 21 che dà la facoltà al Ministero (suppongo dei Beni Culturali) di autorizzare praticamente tutto. Nella sezione II art. 106 “Uso dei Beni Culturali” non si trovano motivi ostativi sull’estensione dei principi di distribuzione con licenza open di riproduzioni dei beni; addirittura dall’art. 119 si parla esplicitamente di Diffusione della conoscenza del patrimonio culturale. tanto più che all’art. 122:

I documenti conservati negli archivi di Stato e negli archivi storici delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico sono liberamente consultabili, ad eccezione: a) di quelli dichiarati di carattere riservato, ai sensi dell’articolo 125, relativi alla politica estera o interna dello Stato, che diventano consultabili cinquanta anni dopo la loro data; b) di quelli contenenti i dati sensibili nonché i dati relativi a provvedimenti di natura penale […]; bbis) di quelli versati ai sensi dell’articolo 41, comma 2, fino allo scadere dei termini indicati al comma 1 dello stesso articolo (1). 2. Anteriormente al decorso dei termini indicati nel comma 1, i documenti restano accessibili ai sensi della disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi. […]. 3. Alle disposizioni del comma 1 sono assoggettati anche gli archivi e i documenti di proprietà privata depositati negli archivi di Stato e negli archivi storici degli enti pubblici, o agli archivi medesimi donati o venduti o lasciati in eredità o legato. […].

Detto questo non resta altro che chiedere in tutte le sedi di mettere a disposizione i dati attraverso il portale nazionale visto che l’Istituto Luce significava L’ Unione Cinematografica Educativa.

Restituiamo questo patrimonio alla conoscenza di tutti? Tanto più che la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO presenta la candidatura dell’ Archivio Storico Luce di Cinecittà Luce al Registro UNESCO Memoria del Mondo.

Nel frattempo possiamo goderci questi stupendi documenti nel Cultural Institut di Google

ps: sul gli aggiornamenti dei siti citati come fonti, non ho garanzie, pertanto potrebbe essere che gli organi societari e le stesse società siano state modificate

 

 

 

 

7 thoughts on “Archivi dell’Istituto Luce, You Tube e il patrimonio culturale italiano”

  1. Da cittadino italiano (residente all’estero) ti ringrazio molto per le informazioni e per l’appello!

  2. Una analisi impeccabile. Complimenti Luca. Mi ero già occupato (in modo più “frivolo”) di questa straordinaria collezione qualche mese fa incontrando restrizioni più banali ma ugualmente fastidiose della piattaforma Youtube.

    Aggiungo qualche considerazione: poiché si tratta di trasmissioni televisive dovrebbero sottostare al comma 5 dell’articolo 79 della legge sul diritto d’autore. In seguito al Decreto Legislativo 26 maggio 1997, n. 154, art. 9 “La durata dei diritti di cui al comma 1 e’ di cinquanta anni dalla prima diffusione di una emissione“. Non mi andrei a dare la zappa sui piedi tirando in ballo la normativa sui beni culturali che è notoriamente restrittiva (di fatto quando scadono i diritti d’autore le opere più o meno ricadono sotto la protezione e le restrizioni del diritto dei beni culturali)… vedi articoli 107 e 108 del Codice Urbani.

    Quindi: se i diritti d’autore originali sono scaduti, eventuali nuovi diritti possono (possono! non necessariamente) derivare dalla digitalizzazione. Nel caso dell’accordo Google – MiBAC è Google a farsi carico della digitalizzazione. In questo caso Google (tramite Youtube) è solo il gestore dei contenuti.

    In pratica, è possibile che i filmati trasmessi più di 50 anni fa siano liberi da ogni restrizione. Comunque, vale la pena di parlarne e di trovare una soluzione.

  3. intanto grazie per i complimenti: dati da voi valgono doppio! io ho iniziato a tracciare delle linee generali di “attacco”, perché il mio obiettivo è l’archivio dei musei (arriverà un post a breve su altra piattaforma). Il “caso Luce” è emblematico anche per i problemi di digitalizzazione, che mi pongo anche nel post: la digitalizzazione di un documento senza diritti d’autore crea a tutti gli effetti una sua riproduzione; questa riproduzione a chi appartiene? al conservatore dell’originale? la proprietà è del proprietario dell’originale e la titolarità è del “digitalizzatore”? nel caso di citazione di fonti, chi deve essere citato? penso che in ambito archeologico questi problemi siano stati posti in caso di rilievi e restituzioni su gis: a chi vengono attribuiti quei file?

  4. La risposta è che nessuno lo sa perché non è mai stato portato il problema fino in fondo (in tribunale?) ma sicuramente dalle parti di NEXA, SeLiLi, COMMUNIA & co. il problema è stato affrontato a più riprese e credo sia importante non ripartire da zero.

    Intanto, nel dubbio e sostanziale noncuranza, continua uno strano bollito misto tra “tutti i diritti riservati” e fair use…

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