Open data e Agenda Digitale: a che punto siamo?

Questo post è di Federico Morando, managing director del Centro Nexa su Internet e Società del Politecnico di Torino. Il Centro Nexa organizza tra pochi giorni IGF Italia, a Torino. Una parte era già stata pubblicata in una intervista sul Sole 24 Ore.

A che punto siamo e cosa resta da fare rispetto agli open data, alla luce del decreto sull’agenda digitale?

La buona notizia è che oggi sono stati rimossi non solo tutti gli ostacoli per una PA che voglia mettere in pratica politiche open data incisive, ma anche la maggior parte delle scuse per le amministrazioni che fino ad oggi sono state titubanti.

Sino a non molto tempo fa, l’Italia era a rischio di sanzioni europee rispetto all’implementazione della Direttiva sul riuso dell’informazione pubblica (Direttiva PSI). Oggi, penso sia corretto affermare che – a livello normativo – siamo diventati un paese all’avanguardia in Europa in tema di accessibilità e riutilizzabilità dei dati pubblici. Infatti, il decreto sull’agenda digitale anticipa i punti chiave dell’attuale proposta di revisione della Direttiva PSI, come il principio della tendenziale gratuità del riuso, anche per finalità commerciali, dei dati detenuti dalla PA. Ma il decreto si spinge oltre, sino a rendere aperti “by default”, ovvero salvo esplicite e motivate eccezioni, tutti i dati pubblicati dalle PA italiane.

Per altro, anche altre norme sostenute da questo governo concorrono all’apertura dei dati pubblici, come l’art. 18 del Decreto sviluppo (rubricato “Amministrazione aperta”), che prevede la pubblicazione online in formato riusabile di tutte le sovvenzioni ed i contributi erogati delle PA.

Insomma, l’open data non dovrà più essere l’eccezione che caratterizza le amministrazioni virtuose, bensì la regola per tutte le PA rispettose della legge.

A voler trovare un difetto, dal punto di vista giuridico, nella riforma contenuta nel decreto, si può forse osservare che è stata attuata tramite l’ennesima modifica del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), la cui effettiva applicazione è sempre stata e rischia di continuare ad essere una chimera. Anche per ragioni simboliche e politiche, sarebbe stato meglio modificare la legge sul diritto d’autore, sancendo direttamente lì che i dati pubblici sono parte del “pubblico dominio”: in effetti, pare che i ministri Profumo e Passera abbiano provato a perseguire anche questa strada, ma senza successo (presumibilmente poiché modificare la legge sul diritto d’autore rappresenta pur sempre un tabù per alcune delle forze politiche che sostengono questo governo). In compenso, qualche passo avanti rispetto all’effettiva implementazione del CAD potrebbe essere fatto grazie alla nascente Agenzia per l’Italia digitale, che si candida a rappresentare lo strumento di governance (anche tecnologica) che è sempre mancato alle riforme della nostra pubblica amministrazione. Siccome il decreto non stanzia nuove risorse finanziarie per l’Agenzia, tuttavia, l’unica chance che questa abbia successo dipenderà dal capitale “politico” che questo ed i futuri governi vorranno investire nel suo funzionamento.

In sintesi, ci sono ottime norme e, anche se i soldi sono pochi, si può sperare che ci sia la volontà politica di applicarle davvero.

Fatta l’Italia open, però, bisogna fare gli italiani open. E questo non si può fare per decreto, purtroppo. E’ necessario un cambiamento culturale profondo nella pubblica amministrazione, e qui lo scenario normativo può rimuovere gli ostacoli (e le scuse), magari può offrire gli strumenti per incidere sui bonus dei dirigenti inadempienti, ma non può cambiare dall’oggi al domani la testa delle persone. E perché cambi la testa dei funzionari pubblici deve cambiare anche quella dei cittadini, che da domani dovranno costantemente utilizzare i diritti relativi ai dati pubblici che la legge conferisce loro, al fine di renderli concreti. E deve maturare la capacità delle imprese e della società civile di riutilizzare effettivamente i dati, il che presuppone competenze (non solo tecnologiche) che a volte scarseggiano. Ed anche qui servirebbero investimenti (in istruzione e formazione). E mancando i soldi da investire si può solo sperare che molti attivisti, ricercatori, imprenditori, giornalisti e cittadini in genere abbiano voglia di investire il loro tempo per concretizzare le opportunità aperte dall’agenda digitale.

Ovviamente, uno dei tanti posti in cui potremo continuare queste riflessioni è il prossimo IGF Italia, a Torino dal 18 al 20 ottobre 2012.